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lunedì 31 gennaio 2011

Luce nel buio


Nella notte, al buio
tutto diventa più chiaro,
e ascoltare la voce dell'ombra
non incute timore.

sabato 29 gennaio 2011

Una brutta giornata




Martina aveva 16 anni. Stava vivendo male la sua adolescenza c'erano sempre problemi in famiglia e lei nascondeva le sue insicurezze dietro una maschera da sfrontata. Era difficile riuscire a penetrare dentro i suoi pensieri: risultava diversa dalle sue coetanee, più misteriosa e con più carattere.
Quel giorno d'estate era al bar con le sue amiche che la informarono della novità.
-Una spaghettata in campagna? Che bella pensata!-disse Martina
-Sì, l'idea è venuta a Marco, partiremo giovedì mattina, faremo una camminata tra i boschi, fino al santuario della Madonna di Caravaggio. E' un po' lontano a piedi ma in compagnia non sarà faticoso -rispose Giulia-Tu verrai?
-Sì mi piacerebbe, ma chi ci sarà?
-Noi, Silvia, Andreina, Patrizia , Paola, Rosa e Marco, Sergio Fausto, Santo, Giovanni, Piero, Antonio...tutti insomma
Martina divenne pensierosa, Fausto era un bulletto che la prendeva sempre in giro, talmente cattivo che a volte riusciva a farla piangere e scappare a casa. Criticava le sue minigonne e gli dava fastidio che lei gli rispondesse a tono. Quando si trovavano nello stesso posto, al bar o sulla passeggiata, seduti sulle panchine, cominciava ad aggredirla con le parole in maniera così violenta da farle paura. Anche se Martina cercava di non rispondere alle provocazioni Fausto non demordeva e andava avanti, anche perché gli altri intorno a loro ridevano, non si sa se per compiacerlo o perché si divertivano davvero. Per fortuna lui aveva qualche anno in più di loro e non frequentava abitualmente la compagnia. Ma quella volta ci sarebbe stato.
-Silvia disse-Ma che bello! Ci sarà anche Fausto! Quando c'è lui c'è sempre da divertirsi!
Un brivido percorse le spalle di Martina e si domandò come fosse possibile fare un'affermazione di quel genere, come poteva Silvia apprezzare un modo di fare così prepotente. Ma non aveva intenzione di rinunciare alla gita. Sperava ci fosse anche Aurelio, il suo amore non proprio segreto. Che Martina fosse innamorata di Aurelio lo sapevano tutti. Forse sarebbe stata l'occasione giusta perché lui si accorgesse di lei. E anche se non lo avesse fatto avrebbero passato una giornata intera insieme, lo avrebbe potuto vedere tutto il giorno, gli avrebbe parlato, lo avrebbe guardato negli occhi, quegli occhi blu come era il cielo dopo una nevicata.
E così una mattina di agosto, appena dopo il sorgere del sole partirono caricando sulle spalle pentole, spaghetti, padelle , pane, affettati, frutta. Avevano diviso le spese ed avevano comperato un'infinità di cibo. Il fuoco per cucinare lo avrebbero acceso con la legna del bosco. 
Il viaggio durò tre ore, camminarono lungo sentieri stretti e rocciosi, tra alberi di castagno verdissimi e rigogliosi, cantando canzoni e raccontandosi barzellette.
All'improvviso il sentiero si aprì su una spianata al cui limitare sorgeva il santuario:bianco, silenzioso, circondato da alti alberi di tiglio .
Non c'era nessuno, il posto per quel giorno apparteneva a loro. Scaricarono le vettovaglie e furono assegnate le mansioni. La maggior parte dei ragazzi si diede da fare: sistemò il focolare, cercò grossi sassi sui quali appoggiare le pentole e pose la legna ad ardere. Fausto cominciò a guardarsi intorno annoiato.
Martina gironzolava, Aurelio non era venuto ed era delusa. Tutta quella strada e lui non c'era. Le sembrava che il mondo avesse perso colore e si sentiva triste. Arrivò fino sotto il portico del Santuario. Il portone era sbarrato e non si poteva entrare. Sui muri qualche scritta: cuori trafitti da frecce e dichiarazioni d'amore. Martina si sporse a sbirciare l'interno attraverso le grate. La chiesa era buia, solo una lampadina emanava una fioca luce e si intravedeva la statua della Madonna vicino all'altare. La ragazza mormorò una preghiera. Pregò per il suo amore impossibile, pregò per la sua famiglia.
Quando ebbe finito si voltò e li vide. Marco, Fausto, Sergio, Paolo. Erano lì dietro di lei, la guardavano in modo strano, Fausto aveva un ghigno cattivo sul viso. Gli occhi piccoli e tagliati all'orientale erano stretti e mandavano bagliori poco rassicuranti. Stava appoggiato al muro, le gambe incrociate in una posa spavalda, le braccia conserte. La osservava senza dire nulla ma nell'espressione balenavano scintille di cattiveria. Stava pensando a come poteva rendere vivace, secondo i suoi canoni, la giornata . Stava zitto e i minuti di silenzio erano pesanti come sassi. Quando parlò, si rivolse agli altri i quali stavano in attesa di un suo segnale :-Come mai oggi indossa i pantaloni? Non ci vuol far vedere le gambe?
Poi continuò -Però non è giusto, di solito quella lì ha delle minigonne! E oggi no, non ci lascia guardare niente. Bisogna che ci pensiamo noi. Togliamole i Jeans! Voglio vedere le cosce!
Martina frugò intorno con lo sguardo: dove erano finite le sue amiche? Non si vedeva nessuno, forse erano vicino al fuoco o in giro ad esplorare il bosco. Pensò in fretta, doveva raggiungere il gruppo.
 Quando si mosse i ragazzi le avevano chiuso le vie di fuga, lei tentò di forzare il blocco facendosi largo a gomitate..
I quattro la afferrarono per le braccia e poi per le gambe. No, no, è un incubo, pensò la ragazza e cominciò ad urlare con tutto il fiato che aveva i gola.
-Arriveranno gli altri, c'è troppa gente, non mi faranno nulla-pensava.
Intanto i quattro ridevano e la sballottavano da tutte le parti, le lasciavano andare le gambe e poi la stringevano in un abbraccio doloroso, la riacchiappavano per le ginocchia e le lasciavano un braccio, poi la bloccavano di nuovo senza lasciarle libero un muscolo. Qualcuno le slacciò la cerniera e mentre lei si divincolava urlando, le sfilarono i pantaloni. Nessuno accorreva e la ragazza piangeva e gridava.
I bulli ridevano palesemente divertiti dalla sua disperazione e dalle sue urla. Erano più forti, erano quattro contro una ragazzina indifesa. Se qualcuno avesse avuto un cenno di pietà Fausto li avrebbe tacciati di vigliaccheria e impotenza. Ma comunque nessuno dei quattro accennò a lasciar perdere quel gioco crudele.
Martina si trovò a terra in mutande e reggiseno,. Intorno a lei i ragazzi ridevano e la fotografavano seminuda e in lacrime.
-Queste foto le faremo sviluppare e poi le appenderemo al bar, così tutti vedranno il tuo sedere! Magari qualcuna la mandiamo per posta a tua madre così si divertirà anche lei!
La ragazza si raggomitolò sul selciato antistante la chiesa, chiuse le braccia intorno al corpo cercando di coprirsi. Continuava a piangere e le sembrava di vivere un incubo. 
-Ora mi sveglierò, non è vero quello che mi sta succedendo, ora mi sveglierò e mi troverò a casa, nella mia stanza.
A quel punto le sembrò che qualcuno fosse arrivato e stesse osservando quello che succedeva, forse avevano sentito gridare. Tra le lacrime vide le sue amiche che si tenevano in disparte e guardavano la scena, ma non intervenivano. I suoi abiti erano stati gettati nel bosco e Martina scorse uno sguardo di intesa tra i quattro. Allora con un ultimo gesto disperato fuggì tra gli alberi, si infilò trai rovi senza curarsi del fatto che le graffiassero la faccia e le gambe e si nascose in un anfratto della montagna.
Era salva, era fuggita.
Rimase lì per ore , pensieri terribili le passavano in testa, avrebbe voluto morire in quel bosco, tra gli alberi. Avrebbe voluto tornare a casa ma aveva paura ad uscire dal rifugio. Sapeva che era sola, nessuno l'aveva aiutata. Non ci poteva credere, e non sarebbe tornata là, almeno fino a quando non avesse sentito che tutti erano andati via.
Il tempo passò e il giorno se ne stava andando. Le prime ombre della sera si stavano allungando sul bosco. Gli alberi sembravano spettri e qualche animale frusciava tra i cespugli. Martina cominciò ad avere paura di non ritrovare la strada di casa. Non poteva affrontare da sola il sentiero del ritorno. Si fece coraggio e sbirciò di nascosto sul piazzale della chiesa.
Vide Silvia con i suoi pantaloni e la sua maglietta tra le braccia, la stava chiamando. Martina uscì dal nascondiglio.
-E' un'ora che ti cerco-disse l'amica.
Martina afferrò gli abiti e si rivestì in fretta, lo sguardo rabbioso. Avrebbe voluto chiedere tante cose ma non parlò. Si tenne a distanza da tutti ma anche gli altri non fecero nulla per parlarle o consolarla. Nessuno aveva il coraggio di guardarla negli occhi. Fausto e i suoi scagnozzi non c'erano, si erano stufati del gioco e se ne erano andati via molto prima degli altri.
Martina non capiva, si poneva mille domande, non aveva nessuna risposta. Solo una cosa le era chiara. Non ne avrebbe mai più parlato, ma avrebbe sempre avuto nel cuore e nella mente l'indifferenza e la codardia che aveva toccato con mano quel giorno. 

Mare d'inverno

giovedì 27 gennaio 2011

Mare d'inverno




Onde
rumore ovattato di mare d'inverno.
Marosi appannati
a rincorrere sabbia
collosa e salata.

Nuvole
mi tendono il solito agguato
nascoste laggiù sul confine
aspettano furbe
l'inganno di un lampo si sole.

Acquattate mi osservano,
e quando mi allento
mi coprono il cielo,
lo oscurano.

Lo so, rideranno di me
tanto forte da farsi cadere le lacrime
ed io
fuggirò via di qui.

Ecco
cominciano
a tratti arrivano,
rabbuiano,
tornan giù all'orizzonte
torturano lente.

Vigliacche

lo sanno
ho bisogno di sole
di aria

Sorridono
e sembra mi dicano
ecco, ci siamo
ci avete chiamato?

Io no, non vi chiamo
detesto quel buio.
Io no
non vi chiamo
nemmeno nell'afa più spessa.

Un gabbiano ora sbatte le ali
lui sì se ne frega
dell'onda,
del vento e di voi.
Lui supera sempre
i marosi e i frangenti.
Lui sì che è contento.

Il vento ora graffia più forte,
le onde
diventano piombo e poi schiuma.

Il sole sorride
ma è un attimo solo.

mercoledì 26 gennaio 2011

Illusioni





Campagna di notte
con verde di prati indistinti
la luna che guarda il mio andare
che spia la mia vita
là in alto.
Mi agguanta di botto
e poi fugge
poi torna e la ascolto
lì sopra di me
A volte la penso, la luna
a volte la vedo
a volte io penso ci sia ma non c'è.
E' solo la luce sfiancata di un sogno
a volte è soltanto il volerla vedere

Ma che importa?
E' importante il pensiero
che accompagna le notti
che sfugge e ritorna
che anela e poi sfila
che agguanta i miei occhi
in un mondo un po' strano
in un guanto di nero
di un cielo scomparso.

lunedì 24 gennaio 2011

Ghiaccio



Non c'è ghiaccio
che quieta lo sguardo bruciato
dal giallo più nero
dal rosso frusciante di attimi usati.

E' il bianco di marmo del buio
che porto negli occhi accecati .

E' l'aspro stridore
di un giorno tra tanti.

venerdì 21 gennaio 2011

La voce del mare




Ascolto la voce del mare
mi parla e sussurra
bisbiglia.

E sembra qualcuno lontano
è il vento la voce
mi mormora vane promesse
e chiama,
rivive.

E' oblio, è malinconia
è tempi lontani
è spazi futuri.
Gorgoglia,
poi tace.

giovedì 20 gennaio 2011

Se avessi fiato



Se avessi fiato vorrei correre
senza fermare le mie gambe,
vorrei andare avanti
nutrendomi dell'aria che respiro,
la pioggia , il sole e il vento
miei compagni notte e giorno.



Se avessi forza
vorrei continuare a superare le salite
a lanciarmi nelle discese .
Raccoglierei i frutti dai rami degli alberi,
mi disseterei nei torrenti
e mi laverei sotto la pioggia.

Sorriderei a quelli che incontro
ma non mi fermerei
a parlare con nessuno.
Non mi interesserebbe
arrivare da nessuna parte
non sarebbe importante.

Vedrei tramonti di sangue
e aurore di ghiaccio ogni giorno diverse .
Vorrei fermarmi soltanto
con i capelli tutti bianchi
e le ossa consumate.

Allora mi stenderei sul profumo del fieno
ad ascoltare le stelle.

lunedì 17 gennaio 2011

Mi piace la notte




Mi piace la notte
perchè parlano i grilli
tutto il resto tace.
E quando i miei occhi
si abituano al buio
guardo il cielo
dove diventa rotondo
e le stelle sembrano mie.
Sto lì
a godermi i momenti
ed il canto dei grilli
è l'unico suono.

Il tempo è sospeso
il vento è fuggito.

Ho chiuso pensieri
dentro lacrime di rugiada.

sabato 15 gennaio 2011

NON E' SOLO PIOGGIA





Non è solo pioggia
è acqua salata
qui dentro aggrappata
a chiuder respiri.
Nasconde il sorriso
lo acchiappa, lo uccide
poi ingoia chimere
già perse
nel cerchio del tempo.

venerdì 14 gennaio 2011

Luna




Stasera incateno lo sguardo
al tuo occhio di perla
alla tua luce
e a quell'ombra che sfugge.

Catturo i tuoi raggi per farne collane
evaporando i pensieri
nell'azzurro di nebbia.


giovedì 13 gennaio 2011

Due donne




Basmaa cammina lentamente, strascicando i piedi calzati nelle ciabatte lilla.
Il camicione tradizionale, vestito sopra il pigiama da casa le ingombra i movimenti ma lei non potrebbe immaginare di indossare niente altro. Si sente protetta dentro quegli abiti. Sta lì, chiusa nel suo personale bozzolo che la tiene al riparo da quello che c'è fuori: è come guardare attraverso un vetro corazzato.
Oggi è uscita per andare a fare la spesa al mercato. Il figlio più piccolo è nel passeggino e dorme col dito in bocca . Sembra un angioletto con quei riccioli neri che gli incorniciano il volto ambrato .E' l'ultimo di quattro figli, prima di lui ci sono Fatiha, l'unica femmina che è la più grande e Amine e Yassin , di otto anni.
Una benedizione di Allah i figli maschi.
A quest'ora i gemelli sono a scuola e la figlia maggiore l'ha accompagnata al mercato. Le è sembrato giusto farla di nuovo uscire un po' perchè dopo quello che aveva combinato,non le avevano più lasciato mettere il naso fuori.Ma come aveva fatto ad innamorarsi di un italiano? Oggi le parlerà di quello che suo padre ha deciso.
Basmaa potrebbe vivere una vita serena:il marito ha un lavoro, vivono in un bell'appartamento col bagno di piastrelle azzurre e hanno comprato un'automobile; è di seconda mano ma comoda e spaziosa. Alla domenica qualche volta , vanno tutti a fare un giro. Di tanto in tanto passano a casa della sua amica Mariam, sono occasioni speciali quelle: pomeriggi tranquilli in cui i bambini giocano e loro due parlano e ridono come due ragazzine.
E' la figlia Fatiha che ultimamente la fa preoccupare.
Mentre si inoltrano tra le viuzze della vucciria le sembra di essere ancora in Marocco. Anche lì andava a fare la spesa nella casbah ma allora era e si sentiva a casa. Gli odori in particolare le mancano,quelli delle spezie che ricolmavano i cesti sulle bancarelle, l'aroma pungente del cumino che lei comprava per cucinare il montone, l'olezzo delicato del carvi, con il quale preparava un infuso digestivo per suo padre. E poi i colori:l'intenso brunito della cannella il verde incorrotto dei giganteschi grani di pepe, il fragrante nero dei chiodi di garofano
Adesso ha più soldi a disposizione, abbastanza per spedirne una parte ai parenti in patria tutti i mesi, ma sente una struggente malinconia, le pare di stare sospesa tra due mondi.
Oggi il mercato è affollato come sempre.
I passanti la urtano senza chiedere scusa ma nessuno più la guarda con curiosità, ormai gli stranieri in giro sono tanti e convivono serenamente con i palermitani. Talvolta lei scambia perfino qualche parola con la vicina che abita al piano sopra il suo, anche se un po' a fatica:la lingua locale le risulta tuttora estranea. Esce poco e in casa nessuno parla italiano, preferiscono continuare a comunicare tra di loro in arabo. Con la porta chiusa sembra di stare ancora a Marrakech.
Quasi all'improvviso le arriva alle narici l'odore salmastro acre e penetrante del pesce appena pescato e lo segue .Per cena ha deciso di cucinare cous cous di mare, piace a tutti e il buon cibo alleggerirà la tensione che c'è in famiglia.
Lei, in fondo la capisce sua figlia, si rende conto che ha voglia di uscire con gli amici, di vestirsi come tutti gli altri .Farle indossare il velo ogni giorno è diventata una guerra.Ed ha il sospetto che appena fuori la ragazza lo tolga. E' la nuova scuola che l'ha rovinata che le ha messo in testa strane idee di indipendenza, che le fa credere di poter decidere da sola quello che è meglio per sé.
E' che questi ragazzi non hanno esperienza , credono a tutto quello che vedono e non si fidano più dei genitori. Sì, suo marito Hamza è un po' severo, ma lo fa per il bene della famiglia. Vuole allevare sua figlia da vera musulmana, desidera che sposi un connazionale nei buoni insegnamenti della tradizione.
C'è già il figlio di Mohamed che ha chiesto di poterla frequentare. E' un bravo ragazzo, più vecchio di Fatiha ma serio con un buon lavoro.
Hamza l'ha incontrato e ha dato il suo consenso.
Basmaa continua a camminare: ora ha bisogno della verdura e della frutta. Si avvicina al banco dell'ortolano. Ecco l'arancione brillante e umido delle zucche, il rosso tenebroso delle barbabietole , il verde corrucciato degli spinaci e dei cavoli. Un raggio di luce penetra da una stradina laterale mentre i venditori richiamano i clienti esaltando ripetutamente la qualità della loro merce e facendo un gran fracasso.
La frutta è abbondante e coloratissima: spinosi e pallidi fichi d'india , pere succose , arance dalla buccia levigata e brillante . Solo i datteri le mancano moltissimo: qui non se ne trovano mai di veramente gustosi, grandi, morbidi e marroni, dal profumo dolce e penetrante come quelli ai quali era abituata da ragazza.
Mentre tira fuori il borsellino per pagare cerca la figlia che ha perso di vista. Fruga con lo sguardo tutto intorno con inquietudine, poi finalmente la scorge ferma davanti ad un banco. Sta sorridendo, ma a chi?
La donna sente il sangue defluire e impallidisce , il cuore si immobilizza per un attimo , poi ricomincia a battere in maniera incontrollata. Basmaa si sente quasi svenire. Pensa:-Non starà mica sorridendo a quel Salvatore? No, non è possibile, ne avevano già discusso, sembrava avesse capito, aveva giurato e promesso che non lo avrebbe più frequentato.
-Devo riportarla a casa, subito.
Ripone il portamonete e ritorna con gli occhi al punto dove l'ha vista un momento prima.
-Ma dov'è andata adesso?
Gira la testa, guarda dappertutto ma la vucciria è un dedalo, è facile sparire in un attimo.
Schizza via, allunga il passo senza preoccuparsi di dare spallate e gomitate a chi le passa accanto e chiama:-Fatiha, Fatiha.!
Tutti la osservano come se fosse diventata pazza. In realtà sta diventando folle davvero, come farà se non la ritrova?
Intanto anche il piccolino si è svegliato ed ha cominciato a piangere così lo prende in braccio e tenta di rassicurarlo
-No su, buono, ora andiamo a casa , speriamo che tua sorella sia lì.
Mentre cammina più veloce che può, prega che suo marito non sia ancora rientrato.
Grosse lacrime le scendono sul viso e si mischiano a quelle di Anwar, che non sa il motivo di tutta quella inquietudine e allarga gli occhi spaurito.
1° finale
Il giorno seguente Salvatore scruta il volto della donna che ama e le accarezza i capelli, con dolcezza . Finalmente sta dormendo. Ha pianto tutta la notte.
Fatiha sente il tocco delle sue mani e allarga lo sguardo color caffè ;ha ancora gli occhi rossi di pianto.
-Sei pentita ?-le chiede
-No, non avevamo alternative.
-Stasera partiamo per la Germania, mio cugino ci ha già trovato un alloggio. Vedrai tuo padre non ci rintraccerà e forse un giorno capirà.
Lei sente di nuovo un nodo in gola, sa che ciò non sarà possibile. Conosce troppo bene suo padre.
-No, non capirà. Spero solo che non mi disprezzi. Mi basterebbe .
Salvatore l'abbraccia e lei si stringe a lui, respira il suo odore, cerca sicurezza nei suoi occhi buoni.
Ora è lui tutta la sua famiglia, tutto il suo nuovo mondo.
I loro figli un giorno, non avranno bisogno di fuggire.

2° finale
Quando arriva davanti al portone quasi non riesce a tirare fuori le chiavi da quanto le tremano le mani e mentre fruga nella borsa sente dei singhiozzi provenire dall' atrio. Finalmente le recupera e apre. Fatiha è lì , seduta sulle scale :è lei che sta piangendo.
Basmaa le si avvicina e le accarezza i capelli.
-Dov'eri?
-Avevo un'ultima cosa da dire a Salvatore, ora puoi stare tranquilla, farò quello che volete voi. E incontrerò l'uomo che mio padre ha scelto per me.
Le due donne si guardano , Basmaa vede gli occhi della figlia , occhi così disperati non ne aveva mai visto ma sa che poi le passerà . Anche lei ha affrontato una situazione simile ed ora è contenta di avere dato retta ai genitori.
La prende per mano e insieme si avviano per le scale.
3° finale
Quando arriva davanti al portone quasi non riesce a tirare fuori le chiavi da quanto le tremano le mani e mentre fruga nella borsa sente dei singhiozzi provenire dall' atrio. Finalmente le recupera e apre. Fatiha è lì , seduta sulle scale :è lei che sta piangendo.
Basmaa le si avvicina e le accarezza i capelli.
-Dov'eri?
-Avevo un'ultima cosa da dire a Salvatore, ora puoi stare tranquilla farò quello che volete voi. E incontrerò l'uomo che mio padre ha scelto per me.
Le due donne si guardano , Basmaa vede gli occhi della figlia , occhi così disperati non ne aveva mai visto.
Allora prende una decisione che mai nemmeno nei suoi pensieri più nascosti avrebbe mai immaginato.
-Vai via ,tesoro, scappa col tuo Salvatore , o da sola, fai come vuoi. A tuo padre ci penserò io. Fammi solo sapere come stai ogni tanto e non mi dimenticare.
Fatiha la guarda un po' impressionata , e incredula , poi sorride . Sì farà così , da domani in poi la sua vita sarà solo sua.

mercoledì 12 gennaio 2011

Domani



E quando 
vedrò andare via la neve
quando nel cielo 
resterà solo uno sbuffo di nuvola
potrò sorseggiare sprazzi di sole
e riflessi d'incanto.

Mercato



La gente
mi ronza negli occhi,
l'odore salmastro
mi porta lontano nel tempo,
a quando il mio mare
non era straniero,
a quando sapevo sognare
la sera,
a quando
portavo il tuo canto nel cuore.

Acceca quel rosso
mi scalda quel giallo,
ricorda il mio sole bambino
quel darsi alla vita
senz'altro pensiero.
La voce ritorna ,
nessuno qui tace
vigore, energia
che grande fermento.

Mi piace
sentire lo spirito intonso
gridare da dentro
urlare più forte.
Ti vedo, ci sei
stai lì tra la gente
mi prendi la mano
com'era una volta
cammini con me
e non mi lasci più sola.

martedì 11 gennaio 2011

Mia madre





Mia madre non era una donna. Mia madre era tante, diverse donne. Ma lei era anche una bambina e qualche volta è stata una ragazza.
Piccolina di statura,tutta la vita a combattere con quei chili di troppo , con il cibo che le si appiccicava sui fianchi e sulle gambe senza volersene più andare. Ma le forme rimanevano armoniose, era rotonda , non grassa.  Bella, era bella mia madre, non ero io che la vedevo così con gli occhi di figlia. Lei era bella davvero, occhi enormi verdi con pagliuzze dorate che si illuminavano col sorriso. Occhi caldi e infiniti dentro i quali leggevi spesso la sofferenza per una vita irriconoscente, occhi di intelligenza passione e lotta costante. I capelli mossi alla Rita Hayworth nero corvino, le conferivano un'aria esotica e le labbra carnose scoprivano denti bianchissimi. Il colorito era chiaro e la pelle perfetta. Fino alla vecchiaia le rimase così, nemmeno la malattia riuscì a smorzare la sua bellezza.
Io l'adoravo, a volte la temevo. Quando si arrabbiava si trasformava, era una passionale, nella gioia e nel dolore nella rabbia e nel divertimento. 
Mordeva la vita, la sbranava e a volte ti soffocava con i suoi eccessi. Poteva urlare come un satanasso e dopo un po' dimenticare tutto, farti sentire in colpa e poi ridere come una matta perché si era dimenticata della baruffa.
Affrontava le difficoltà con una grinta da leonessa e in quei momenti lo sguardo era caparbio, era quello di una guerriera che combatte da sola.
Ma sapeva ridere. La sua innocenza allora erompeva in quelle risate sonore e liberatorie, abbiamo riso insieme fino alla fine. Ma da tutta la sua forza emergeva un'innocenza naturale che la rendeva figlia e giovinetta, che la muoveva verso un'adolescenza non vissuta e che la vita le doveva.
E quando si camminava per i boschi insieme , quando eravamo avvolte dal romanticismo delle fronde degli alberi, quando ogni sasso ed ogni fiore ci stupiva con la sua grazia, ci sentivamo unite come solo due anime affini possono essere.
E mai si abbandonò alla disperazione, mai rinunciò alla speranza, mai mi fece mancare la sua forza.
 Nemmeno quella notte in cui se ne andò.

Borlasca

A piccoli passi



A piccoli passi
dovevo attraversare il torrente
volevo arrivare in fretta
e non mi sono mai fermata.

Il sole ha bruciato la mia pelle
le nuvole hanno oscurato il cielo
e qualche volta
sono passata su sassi appuntiti
e mi sono ferita
ma ho continuato il cammino.

All'inizio
credevo fosse facile
invece arrancavo e non avevo appigli
ma non mi sono arresa nemmeno
quando mi abbandonavano le forze
le gambe mi tremavano
e l'acqua diventava gelida.

Ma la meta era lontana 
anche quando la credevo mia
e spesso ho pianto dalla disperazione
mischiando le mie lacrime alla melma verdastra.

In inverno i miei piedi bucavano lastre di ghiaccio
affondavano nel fango
ma ho continuato il cammino.

A volte avevo amici che mi accompagnavano
ma più spesso ero sola
e forse qualcuno mi ha sorretto
ma più spesso sono stata io
a portare qualcuno sulle spalle.

Molti se ne sono andati senza salutare
ma c'è stato anche chi mi ha abbracciato
e mi ricorda ancora.

E la mia strada oggi come ieri
è irta
di sassi, di rami intricati,
di scogli scoscesi
di correnti impetuose.

E' un fiume è la strada
è contorta ma è mia.

Non so scrivere poesie




Non scrivo poesie
non ne sono capace,
metto insieme parole
sulle ali del tempo.

Costruisco pensieri
per poterli afferrare
e non farli cadere
dentro bolle di vetro.

Questa notte di nebbia
mi toglie il respiro.

Ho imparato




E ho imparato
a celare ombre,
a nascondere pioggia
sotto drappi di sole.
Forse il vento, domani
svelerà la luna.