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venerdì 6 marzo 2020

Pietro e il nonno



Gli abitanti del nostro pianeta, la Terra , avevano perso il rispetto per il creato e avevano devastato le foreste così erano anni che i paesaggi erano diventati enormi campi di plastica. Molti animali che vivevano liberi si erano estinti perché non avevano più nulla con cui nutrirsi. Il mondo aveva perso i colori delle stagioni e anche le persone avevano dimenticato il sorriso: pensavano soltanto a guadagnare denaro e le cose semplici non interessavano a nessuno.
A Stazzano, un piccolo villaggio del Piemonte, ai confini con la Liguria, abitava un bambino di nome Pietro. Viveva con la mamma, il papà e il nonno che era molto, molto vecchio e che aveva visto il mondo prima che la cosiddetta “civiltà” lo riducesse in quel modo.
Quando i genitori erano al lavoro, il nonno raccontava al nipotino storie i cui protagonisti erano gli alberi, i prati e i colori. Raccontava com’era emozionante passeggiare in campagna quando le stagioni cambiavano,  ascoltare il canto degli uccelli che rompeva il silenzio delle colline, ammirare le viole che sbocciavano tutte insieme e soppiantavano il bianco della neve invernale.
Ora di tutte quelle meraviglie restava soltanto il ricordo nelle menti delle persone anziane come lui. Qualche museo esponeva foto delle epoche passate e i grandi boschi erano stati sostituiti da parcheggi e supermercati. Le aiuole e le rotonde spartitraffico erano di plastica e per avere un po’ di fresco quando era estate si ricorreva all’aria condizionata e a futuristiche piscine coperte che avevano grosse lampade a simulare il sole. Anche quello ormai si vedeva poco, restava coperto da nuvole di smog.
A Genova c’era ancora il mare ma aveva perso l’azzurro e aveva preso il colore della plastica. Nessuno ci andava più, serviva soltanto alle navi petroliere che trasportavano il combustibile da una città all’altra.
Il nonno, un giorno confidò a Pietro un segreto: nella soffitta del loro palazzo si nascondeva un immenso tesoro. Lo aveva nascosto lui lì quando aveva compreso come stava cambiando la situazione. Sarebbe toccato al nipote scoprirlo e farne l’uso più giusto. Se l’intuito del nonno non si sbagliava, Pietro avrebbe capito quale direzione doveva prendere e che cosa doveva essere fatto.
Dopo qualche tempo il vecchio morì e Pietro, che era già abbastanza grandicello stava spesso in casa da solo.
Quel pomeriggio si annoiava e gli vennero in mente le parole del suo adorato nonnino. Decise così di salire in soffitta  a cercare il tesoro anche se non aveva idea di cosa potesse essere: oro? Gioielli? Monete antiche?
Con questi pensieri in testa salì lentamente le scale. Era la prima volta che lo faceva, era vietatissimo andare lassù. I genitori gli avevano detto che era pericoloso perché era il regno dei ragni, degli scarafaggi e dei topi.
Però, si sa , le cose proibite e misteriose stimolano la curiosità e la voglia di avventura e cantaticchiando per farsi coraggi si avviò su per le scale.
Arrivò davanti ad una piccola porta di legno scrostato. Era impolverata e i ragni avevano tessuto su di essa mille ragnatele : sembrava l’ingresso del regno delle streghe .
Il giovane però sapeva che le streghe non esistono così spinse con forza i battenti fino a quando con un sinistro cigolio, la porta si aprì.
 Pietro entrò. Trovò grossi scatoloni ammuffiti e cominciò a guardare cosa contenevano: c’erano solo vecchi stracci stantii e qualche libro rosicchiato dai topi. Esaminò con attenzione ogni recipiente e quando ne aveva terminato uno cominciava con l’altro, poi li metteva da parte sistemandoli su un lato della stanza.  Andò avanti per ore e aveva quasi perso le speranze. Forse il nonno lo aveva preso in giro… Ad un tratto, in un angolo più buio degli altri dietro a tutto quel ciarpame, vide un baule. Era strano: la polvere e le ragnatele non lo avevano intaccato. Era lucido ed emanava luce. Pietro lo aprì tremando di emozione. Conteneva tantissimi cartocci di stoffa colorata.
Su ognuno di essi era raffigurato un fiore: uno diverso per ogni sacchetto: lavanda , iris, rose rosse, bianche, gialle, screziate, orchidee, fiori di campo. Alcuni Pietro non li conosceva, non li aveva mai visti nemmeno in fotografia.
Il bambino li aprì: contenevano piccoli granelli e capì che erano semi. Semi dimenticati di tutte le piante che una volta popolavano la Terra.
Oh, come sarebbe stato bello poterli spargere sul mondo e farlo tornare al suo antico splendore!
Ci voleva un’idea. Pietro nascose il baule e tornò in casa.
Quella notte sognò il nonno che gli sorrideva e capì che doveva darsi da fare al più presto. Non aveva più paura e salì in solaio. Quando lui entrò, la stanza si illuminò di una luce magica e il baule si aprì da solo. Lo stava aspettando. Il bimbo si riempì le tasche di semenze e tornò a dormire. Sapeva cosa doveva fare.
Il giorno seguente, quando arrivò a scuola raccontò tutto ai suoi amici e distribuì i chicchi con l’ordine di spargerli ovunque. Tutti i bambini del mondo dovevano essere coinvolti in questa missione. E così fecero. I bambini sparsero semi dappertutto e la riserva nel baule incredibilmente non si esauriva mai. Tanti semi venivano tolti, tanti ne restavano nei contenitori.
I bambini italiani scrissero agli amici lontani, anche all’estero, riempiendo le buste con i magici semini.
Da quei semi spuntarono germogli che bucavano l’asfalto e i mattoni, avvolgevano la plastica e la soffocavano, si facevano largo tra i sassi. Nessuno poté più fermarli perché la natura è più forte di tutto e si stava riprendendo il posto che le spettava.
Rinacquero erbe e fiori, si ripeté il ciclo delle stagioni, si  respirarono profumi dimenticati.
I grandi, quelli che avevano contribuito al disastro, aprirono finalmente gli occhi e ricominciarono a piantare alberi, a curare prati e orti. Il sole si svegliò e bucò la cappa di smog regalando i suoi raggi e il suo calore a tutti.
La Terra tornò ad essere un grande giardino. E tutto questo grazie ad un nonno previdente e a un bambino coraggioso.