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sabato 13 ottobre 2012

A mio padre




Non è vecchio il tuo cuore
quando parli e respiri i profumi dell'alba
quando i colori del tramonto ti vibrano dentro
quando ancora riesci a vedere con gli occhi dell'anima.
E ancora ti piace parlare alla gente
sorridere a un bimbo
posar la tua mano in un gesto d'affetto
No, non è vecchio il tuo cuore
è ancora bambino, leggero e pulito
è lo specchio dell'uomo che sei. 

Emma Bricola 13 ottobre 2012

domenica 7 ottobre 2012

Nuvole d'ali




Quanti uccelli nel cielo stasera!
Sembra quasi una nuvola d'ali 
Io mi fermo a guardare e m'incanto
poi ascolto le voci d'autunno.
Sento odore di pioggia 
sento essenza di neve
e non so esser triste o felice.
Se son vividi ancora i colori 
poi domani spariscono tutti.
Resta solo quel bianco e quel grigio
che al mattino ti trovi davanti
Ho paura se penso al domani, 
è l'attesa del sole che voglio 
è il riverbero forte negli occhi
è il calore che brucia la pelle.
E' così che so ancor che son viva

mercoledì 5 settembre 2012

Le amiche del cuore?


Care amiche, sono molti anni che ci conosciamo e che la mia esistenza corre parallela alla vostra.
Siete state compagne fedeli ogni giorno e molte volte anche la notte. La vostra compagnia era preziosa per me, non riuscivo a farne a meno. Passare dei minuti solo con l'ausilio della vostra presenza, sembrava rendesse più rilassante e tranquilla la mia realtà.
 Nei momenti più difficili poi, la vostra partecipazione ai miei problemi era ancora più assidua e continua.
Però, ora che ci penso bene, molte volte mi avete lasciato l'amaro in bocca e la vostra vicinanza era causa di crampi allo stomaco. E poi, è vero che nei momenti più difficili eravate lì con me, ma non è che mi avete mai aiutato a superarli, se sono stata in grado di uscirne indenne non è stato certo per merito vostro.
Per cui mi sento di dire, con assoluta convinzione che di voi ne ho piene le scatole, mi avete fatto invecchiare anzitempo, avete avvelenato la mia vita facendomi credere che siete buone e generose. No, non è così, e io cordialmente vi mando a quel paese. Certo, non sarà semplice liberarmi di voi ma ringraziandovi per i pochissimi momenti felici passati insieme spero ardentemente di non avere mai più nulla a che fare con voi.

Serravalle Scrivia, 5 Settembre 2012

Emma Bricola

lunedì 3 settembre 2012

Tipi da spiaggia- La mamma alla moda




Il sole è già allo Zenit quando lei arriva.
Se la si osserva in blocco è una donna dall'età indefinibile, piccola di statura, ma se ci si sofferma con più attenzione sul viso si capisce che non deve avere ancora compiuto quarant'anni.
Il suo corpo già disfatto da cuscinetti di grasso non la frena nell'indossare costumi da bagno sgambati che lasciano scoperte quasi del tutto le natiche devastate da buchi di cellulite.
Si atteggia a gran signora, ha lettini e ombrellone riservati in prima fila, si sentirebbe umiliata altrimenti.
Parla al telefono in continuazione, lo impugna in modo sicuro, con finta noncuranza, con l'altra mano dondola il passeggino nel quale dorme la figlia neonata.
Conversa soltanto con quelli che giudica al suo livello sociale, racconta loro di cene, pranzi e vacanze esotiche.
Ogni tanto posa il telefono nella Louis Vitton estiva appesa al gancio, poi si guarda intorno, estrae uno specchio dal beauty-case e si osserva attentamente la bocca, stiracchia e si lecca le labbra. Poi prende il rossetto e le ritocca con cura, lo stesso fa intorno agli occhi con una matita nera; si aggiusta la coda di cavallo e torna a guardare in giro. Ricontrolla i capelli, mette a posto un ricciolo e lo arrotola intorno al medio per dargli forma, lo stesso fa con le altre ciocche fuggite dall'elastico di Fendi.
Ora indossa i Rayban verde bottiglia, li fa scivolare un po' sul naso e si gira verso la vicina d'ombrellone sorridendo con sguardo complice.
Il marito arriva più tardi, giusto in tempo per portare la piccola, che nel frattempo si è svegliata, a respirare l'aria carica di iodio sul bagnasciuga.
Al crepuscolo lei spinge il passeggino fino alla fine della spiaggia. Mentre si allontana la statura molto bassa la fa sembrare una bambina che gioca con le bambole.

giovedì 30 agosto 2012

I perchè di un cammino



Passi. Unico suono. In cammino da prima che il sole sia sveglio, per non farsi affannare dai raggi infuocati, per fuggire la cappa pesante e non sciogliersi e sparire in uno sbuffo di vapore.
I contorni delle case prendono forma, piano piano il verde del prato scaccia il grigio. Il cielo si trasforma e cambia colore, il nero si nasconde, la luce si fa largo prepotente e annuncia il giorno nuovo. Spettacolo quotidiano che stupisce e t'incanta ogni volta. Non un rumore si ode, solo il ritmo regolare dei passi che si allineano al respiro, affannato all'inizio e poi sempre più sicuro di sé.
La strada, la tua ma anche quella di tanti. Solitudine: ti lascia pensare o soltanto guardare e svuotare la mente. E' attenta soltanto ai ciottoli sotto le scarpe. Annegare nella fatica e togliere spazio alle ansie che avevi. C'è solo il blu dell'alba, arrivata in punta di piedi; ricava il suo mondo sulla cime della collina e si allarga in silenzio, si sofferma un minuto e poi lascia entrare anche il viola e l'arancio.
E brividi sulla tua pelle: rinascita, ancora.
Ogni giorno è un giorno inconsueto con attese e speranze un po' uguali.
Per cambiare le cose sbagliate, per scoprire cos'è che ancora vale.
Sui passi, sui piedi feriti, gonfi e sbranati, continuare. E sperare. E ricostruire un sé non ancora compreso. E alla fine della strada guardarsi nell'acqua di un piccolo stagno e vedere, lì in fondo agli occhi, il riflesso di quello che conta e che vale davvero.
E comprendi che è solo per quello che hai camminato, sudato, sofferto, pregato. E se gli altri non capiranno, che importa? E' solo per te che tu sei andata, per bastare a te stessa per sapere che sei viva e sentirti più viva per sempre.
Luglio 2012

mercoledì 29 agosto 2012

Risacca



Risacca

Non puoi osteggiar la risacca
all'onda che arriva e poi fugge.
Non serve schivare la schiuma e i detriti
son loro più forti di te.

Ti portano via piano piano
nemmeno ti accorgi di loro.

E allora,
tu lasciati andare
su morbide gocce salate
tu lasciati amare dall'onda
non è mai cattiva,
ti bagna la pelle
ma è amica del sole.

Quei pezzi di legno
lì, sul bagnasciuga
son pezzi di vita anche loro
tornati da un lungo cammino.

Chissà dove mai eran ieri
chissà che saranno domani.

Tu non ci pensare
tu, lascia che l'onda comandi.

E tanto non puoi farci nulla
puoi solo ferirti e soffrire
se credi di vincere il mare.

Emma Bricola 22/8/12

venerdì 17 agosto 2012

Ricordi di scuola





Quando sei bambino ti chiedono tutti che cosa vorrai fare nella tua vita, quale mestiere sceglierai per mantenerti e realizzarti come persona.
Io avevo le idee molto chiare fin dall'infanzia:volevo girare il mondo ma non ero ricca, per afferrare il mio sogno dovevo fare un lavoro che unisse l'utile al dilettevole, così avevo deciso che sarei stata un'hostess sugli aerei.
In alternativa avrei potuto anche diventare ispettore di Polizia perché era un lavoro dinamico che mi avrebbe consentito di dare un contributo al mondo mettendo in galera ladri ed assassini.
Le professioni che a quei tempi erano considerate le più adatte per i soggetti di sesso femminile io non le calcolavo proprio, e se mi avessero detto che un giorno sarei stata una maestra avrei riso di cuore.
Io, la ribelle, quella alla quale seguire le regole costava una fatica immane, quella che non stava mai tranquilla e che a stare seduta per più di un'ora venivano le spine al sedere, quella che contestava tutto e tutti, come avrei potuto adeguarmi all'ambiente serioso della scuola? Come avrei potuto redarguire bambini che erano come ero io e farli stare zitti e buoni?Impensabile e ridicola un'idea del genere.
Passarono le scuole elementari e andò tutto molto bene nonostante i miei cambiassero città di residenza ogni anno e di conseguenza io dovevo cambiare scuola. Forse grazie anche al maestro Manzi e al suo programma “Non è mai troppo tardi” che io mi divertivo a seguire ogni sera, ero brava anche senza studiare molto. I compiti erano un piacere e li svolgevo in pochi minuti, a volte ne avrei voluti di più così scrivevo cose di mia iniziativa e poi leggevo, leggevo, leggevo tutto quello che mi capitava.
Poi le scuole medie:la prima andò bene. La seconda e la terza un po' meno, forse gli ormoni della pubertà peggiorarono il mio carattere impulsivo e polemico.
Cominciai a odiare la scuola e i professori mi infastidivano, mi sembrava mi considerassero solo un contenitore da riempire di noiosissime nozioni e non si interessassero a me come persona, che non comprendessero la mia necessità di capire, al di là del ripetere la lezione: di fatto non mi coinvolgevano nelle materie che insegnavano.
Ma non erano ancora arrivati gli anni '70 e la scuola era quella: se si interloquiva si passava per eversivi e maleducati, se si obiettava si veniva accusati di non aver voglia di studiare.
Qualcosa però nel mondo si stava muovendo e nelle città era cominciata la rivolta studentesca anche se nei piccoli paesi come il mio era ancora lontana l'idea di poter cambiare qualcosa.
Ricordo che una mattina, in terza media, suggestionati dalle manifestazioni e dai cortei che vedevamo in TV decidemmo di fare sciopero anche noi.
Non sapevamo di preciso quale fosse il motivo ma volevamo sentirci parte attiva del movimento riformatore.
Quella nebbiosa mattina di novembre dell'anno 1969 decidemmo quindi di non entrare a scuola.
Stavamo tutti lì, fuori nel cortile del vecchio edificio e sembravamo tutti molto convinti della nostra protesta.
Il bidello Carrea era disperato, la campana era già suonata da parecchi minuti e nessuno si muoveva, nessuno saliva la piccola scalinata che dava accesso al portone.
Io avevo l'impressione di stare dentro un formicaio, tutti andavano avanti e indietro, si formavano capannelli, si disfacevano e poi se ne formavano altri. Il brusio era continuo: si cercavano informazioni, si guardava alla porta con ansia perché c'era sempre il timore che qualcuno entrasse di soppiatto mandando così a monte l'intera operazione.
Infatti qualcuno aveva cominciato a dubitare della validità dell'iniziativa, aveva paura di ritorsioni da parte della dirigenza e temeva le botte che avrebbe ricevuto a casa di conseguenza .
A quei tempi noi ragazzi avevamo sempre torto, i nostri genitori non avrebbero mai pensato di prendere le nostre parti. E così era sempre stato.
Il povero bidello aveva già tentato varie volte di convincerci ad entrare, lo faceva con affetto e bonarietà, ci voleva bene, aveva paura per noi. Non aveva avuto successo e aveva chiamato Bobbio, il suo collega, ad aiutarlo ma nemmeno in due ci convinsero a fare la cosa che secondo loro era la più logica:entrare a scuola finché eravamo in tempo. Soltanto qualche ragazzino di prima si era persuaso, aveva ceduto tra gli sguardi carichi di astio della maggior parte dei “rivoluzionari” che ora si erano avvicinati alla scala impedendo l'accesso ai crumiri.
Erano oramai le nove passate e il piazzale era ancora in tumulto quando apparve lei, la vicepreside.
Alta, imponente, capelli corti e mossi pettinati all'indietro senza un ricciolo fuori posto, nemmeno le ciocche osavano disobbedirle e restavano incollate alla posizione che lei aveva deciso per loro. Una chioma biondastra talmente precisa ed ordinata da sembrare finta.
La vicepreside, professoressa di matematica di quasi tutte le sezioni, subito non parlò e abbracciò con un unico sguardo gelido la platea che al suo apparire si era rifugiata in un silenzio improvviso e totale. La mascella quadrata era tesa e la bocca contratta dalla rabbia che cercava inutilmente di reprimere.
Con poche nitide parole, chiese se ci rendevamo conto di quello che stavamo facendo e promise che la nostra stupidaggine ci avrebbe regalato un sette in condotta con conseguente inevitabile bocciatura. A meno che... e si spostò di lato indicando l'entrata.
L'eco delle sue parole non si era ancora esaurito che già i primi ragazzi stavano salendo le scale, a testa bassa, senza guardarla negli occhi e con il cuore stretto dalla paura.
Dopo cinque minuti eravamo tutti in classe, seduti ai nostri deschetti. Quella mattina non ci furono risate, non ci furono battute ma solo sguardi sfuggenti a volte rancorosi verso i promotori della sollevazione.
Si sperava soltanto che l'incidente fosse dimenticato in fretta e che il corpo docente perdonasse il nostro insensato gesto.
L'unico desiderio era il ritorno alla normalità e avremmo voluto che nessuno parlasse mai più dell'accaduto.
Invece a ogni cambio di ora ci fu una lavata di capo, ci furono sguardi carichi di superiore e rassegnata compassione, battute che ci ridicolizzavano.
Io tacevo, ero stata tra i più convinti, ora ero solo la più spaventata.
L'uscita dell'una fu ancora più mesta. Io fuggii a casa dove confessai la mia colpa solo ore più tardi e soltanto per paura che mia madre lo apprendesse da altri genitori o dai professori alle udienze.
Mia mamma non mi prese a sberle ma scosse la testa e disse che ero una stupida.
Io andai in camera mia a studiare.
Era l'unico modo per salvarmi.

domenica 15 luglio 2012

Le rondini non sanno




Le rondini non sanno
che il cielo poi finisce.


A loro non importa
di andare più lontano
a cercare nuove nubi.

Raccolgono un pezzetto
di azzurro
anche se è grigio.

Si tuffano nell'aria
e precipitano giù
ma all'ultimo respiro
riprendono la strada.

Dall'alto, quasi al sole
ci guardano un momento
poi tornano a volare.

12 Luglio 2012

mercoledì 25 aprile 2012

I poeti



I poeti sono quelli che hanno visto il mare
hanno guardato nel verde delle onde
hanno capito le parole mormorate
senza sapere di chi era la voce

Sono quelli che hanno paura del cielo
quando diventa di sabbia e di vento
quando parla con la voce del tuono
e non ascolta nessuno, nemmeno i più disperati

I poeti sono quelli che si commuovono
quando vedono una margherita nata in un fosso,
vicino alle cartacce e alle cicche di sigaretta
parlano col verde dei prati
amano anche se non sono amati

A volte sembrano strani
e la gente li prende un po' in giro
ma a loro non importa
vivono di parole
di notti stellate
di nebbie fumose
di giorni finiti.

giovedì 12 aprile 2012

Guardare avanti





Attimo.
Solo un momento di felicità che sento,
a volte mi accarezza e mi blandisce
poi fugge via veloce
e non capisce.

Ho bisogno di questo anch'io talvolta
devo poter guardare avanti e non importa
se il mio futuro non sarà reale
perché ho bisogno di illusione anch'io 
per non star male.

Per poter camminare avanti non indietro
per non badare a ciò che mi ha ferito
e pensare ancora alla mia vita
come se iniziasse adesso
con le speranze della gioventù.

E' qui, la sento dentro
e ancor mi appaga
cancella le mie rughe al viso
e lascia il cuore intonso
ed un sorriso sulla mia bocca stanca
e nei miei occhi.

giovedì 23 febbraio 2012

Forse domani



Non dirmi che i pensieri si possono scacciare
li ho qui
appiccicati come polvere densa e nera
si confondono tra sorrisi e sospiri,
si nascondono e poi tornano all'improvviso
striscianti e dolorosi.
Non li vedo chiaramente
Li sento
impalpabili,
sfuggenti,
scivolosi.
Arrivano senza avvertirmi
mi guardano un istante
poi fuggono veloci.
Domani forse mi dimenticheranno.

Emma Bricola 
22 Febbraio 2012



domenica 19 febbraio 2012

Mio padre era un gatto


A mio padre piacevano i gatti. Ai gatti piaceva mio padre. Credo che fossero caratterialmente compatibili, anzi credo che anche lui fosse un gatto o lo fosse stato in una vita precedente. Certo è che molti tratti caratteristici di questi felini si addicevano a lui. Il fisico innanzi tutto. Alto, elegante, vanitoso. Mio padre non era mai in disordine. Nemmeno quando andava nella vigna e si metteva l'abito da contadino con lo spago al posto della cintura riusciva a sembrare trascurato. Innata classe; si ha o non si ha.
La camminata era flessuosa e il passo più che una falcata era un salto leggero, mai affaticato.
I baffetti sotto al naso li curava minuziosamente: li lisciava con cura ogni giorno, li ispessiva con una matita se trovava qualche penuria.
Davanti allo specchio si guardava le guance e le schiaffeggiava se erano pallide, poi si spalmava la brillantina sui capelli folti e scuri.
Ovunque, dove andava, aveva la sua squadra di felini ai quali portava cibo e coccole. Li chiamava:-Minuuu, Minuu. E loro arrivavano di corsa al suono della sua voce, gli si strusciavano contro le gambe, lo guardavano con occhi amorevoli.
Lui non chiedeva nulla ai suoi gatti, gli bastava quello strusciamento quotidiano, quel sordo brontolio che gli dedicavano, poi li lasciava andare. Liberi. Capiva la loro autonomia, la sentiva sua. Ve l'ho detto. Mio padre era un gatto.

Haiku







Nubi lontane


orizzonti di fuoco


Il cielo brucia

lunedì 30 gennaio 2012

Neve





Ricordo le nevicate di una volta.
All'inizio l'aria cominciava a cambiare odore e noi guardavamo su, scrutavamo il cielo con gli occhi sgranati e pieni di speranza. Non si parlava, quasi che le parole potessero spazzare via le aspettative.
E poi cominciava, piano.
Scendevano dapprima piccoli sperduti fiocchi quasi invisibili. Volteggiavano timidi e spauriti, e appena toccavano terra morivano in esili gocce.
Quelli che arrivavano dopo, si facevan più coraggiosi e resistevano, unendosi a frotte.
All'improvviso il cielo si riempiva di falde leggere, come bianchissime farfalle arrivate da chissà dove.
Noi bambini correvamo ad acchiapparle con le mani e con la lingua, le lasciavamo atterrare sui capelli e sul viso, meravigliandoci ogni volta come la prima fino a quando le madri ci richiamavano in casa per la cena.
Si scostavano le tende per non perdere lo spettacolo anche da dentro, col timore che svanisse l'incanto, soddisfatti alla vista del selciato che scompariva coperto dal bianco.
Si andava a dormire avviluppati dal piumone e dal silenzio, cercando di addormentarsi presto, pregustando la giornata in arrivo.
E quando la luce accecante ci apriva gli occhi ci si vestiva in fretta, e dentro avevamo una gioia primitiva e incalzante, un'ansia entusiasta e raggiante della quale non avevamo coscienza.
Si udiva il rumore delle pale di chi faceva il passo in un mare di scaglie di ghiaccio e si correva fuori.
Indossavamo stivali di gomma e calze pesanti, cappelli di lana e guanti sottili. Inventavamo mille storie tra labirinti e sentieri, tra i cumuli più alti di noi.
E infine ci si organizzava e si andava là, dove c'era il campo grande, si ammirava la valle imbiancata talmente bella e candida nella luce inconsueta, che dovevamo strofinarci gli occhi per crederla vera.
Si scendeva con lo slittino di legno comprato alla Fidass, ci si rotolava senza farsi male; si sudava sotto gli abiti ormai fradici ma non ci si ammalava per questo.
E quando si tornava a casa avvolti nelle nuvole di vapore dei vestiti fumanti, le guance erano rosse e gli occhi brillavano di gioia assoluta.

sabato 28 gennaio 2012

Neve




Il rumore della neve ha mille voci
ovattate, racchiuse in un bozzolo argenteo.
Il colore della neve non è solo il bianco
e lo vedi con occhi capaci a guardare.
Il sapore della neve è quello bambino
non cercarlo mai più
se hai perduto il tuo cuore.

Emma Bricola